In memoria di Luis Sepùlveda

Vogliamo ricordare Luis Sepùlveda, scomparso il 16 aprile, con una pagina dal suo romanzo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (1996). Scritta come una fiaba, la Storia è effettivamente un romanzo di formazione e di sviluppo dell’identità personale e politica.
Penso sia particolarmente importante leggere oggi questa pagina, in quanto ci ricorda quello di cui tutti noi possiamo essere capaci, anche di fronte alle difficoltà. Ricorda anche che incoraggiare una persona care a trovare la propria indipendenza è un atto d’ amore, per quanto  doloroso possa essere. Questo è proprio quello che fa Zorba, il gatto che ha covato l’uovo da cui è nata la gabbianella Fortunata e che l’ha allevata, insegnandole appunto a volare.
Uno dei più significativi e carismatici scrittori latino-americani contemporanei, Sepùlveda fu esiliato dal Cile, il suo paese natale, nel 1977 per la sua ferma opposizione alla dittatura militare di Augusto Pinochet, instaurata nel 1973 con il colpo di stato contro il governo democraticamente eletto di Salvador Allende.
Da Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare è stato tratto il film di animazione di Enzo D’Alò, La gabbianella e il gatto (1998). 

 

Vola solo chi osa farlo

“Vola!” miagolò Zorba allungando una zampa e toccandola appena. Fortunata scomparve alla vista, e l’umano e i gatto temettero il peggio. Era caduta giù come un sasso. Col fiato sospeso si affacciarono alla balaustra, e allora la videro che batteva le ali sorvolando il parcheggio, e poi seguirono il suo volo in alto, molto più in alto della banderuola dorata che corona la singolare bellezza di San Michele.


Fortunata volava solitaria nella notte amburghese. Si allontanava battendo le ali con energia fino a sorvolare le gru del porto, gli alberi delle barche, e subito dopo tornava indietro planando, girando più volte attorno al campanile della chiesa.

“Volo! Zorba! So volare!” strideva euforica dal vasto cielo grigio.
L’umano accarezzò il dorso del gatto.
“Bene, gatto. Ci siamo riusciti” disse sospirando.
“Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante” miagolò Zorba.
“Ah sì? E che cosa ha capito?” chiese l’umano.
“Che vola solo chi osa farlo” miagolò Zorba.
“Immagino che adesso tu preferisca rimanere solo. Ti aspetto giù” lo salutò l’umano.
Zorba rimase a contemplarla finché non seppe se erano gocce di pioggia o lacrime ad annebbiare i suoi occhi gialli di gatto nero grande e grosso, di gatto buono; di gatto nobile; di gatto del porto.